22/06/09

Ava Cherry - The Astronettes Session

Ava Cherry è stata una delle figure più caratteristiche dei seventies inglesi, in parte per la sua immagine sconvolgente, in parte per le sue preziose frequentazioni. Non propriamente una vocalist dalla sfavillante carriera solista, ma nemmeno una comune corista. Bollente e trascendentale a seconda dei casi. E comunque una personalità che con tocco davvero felino ha lasciato un’ impronta decisa nella storia del glamour britannico.
Ovviamente c’è un tramite importante in questa storia. Il duca bianco: David Bowie. Del cui entourage Ava Cherry faceva parte nella prima metà degli anni ’70. Possiamo parlare di shock visivo per la nostra, una sensuale ragazza di colore con capigliatura biondo platino, un gioco trasgressivo che anticipa vertiginosamente le mosse di una Grace Jones o – in tempi più recenti – della Skin di Skunk Anansie. Per la prima volta viene fatto ordine nella discografia di questa artista, che tra numerose apparizioni ha messo da parte una serie indicativa di performance. Con The Astronettes Sessions la nostra è protagonista in prima ed in seconda fila (a seconda dei casi assurge al ruolo di voce solista, altrove i suoi squillanti vocalizzi rimangono dietro le quinte), sono incisioni risalenti al novembre del 1973 ed immortalate presso gli Olympic Studios Barnes di Londra (eccezion fatta per God Only Knows di Brian Wilson, catturata presso gli storici Electric Ladyland Studios di New York, nel 1974). Gli Astronettes sono una sorta di gruppo vocale, con Ava ci sono i non meno brillanti soul men Geoff MacCormack e Jason Guess. Il repertorio cui lavorano è fatto di cover eccezionali. Tra i musicisti che prendono parte alle registrazioni c’è lo stesso Bowie, del quale vengono riprese in chiave quasi black I Am A Laser, I Am Divine, Things To Do e People From Bad Homes. Lo stuolo dei musicisti da studio è arricchito anche da una figura mitica come il batterista Aynsley Dunbar (un uomo che ha suonato praticamente con tutti: da Jeff Beck a Frank Zappa, passando per i Jefferson Starship), oltre che da illustri turnisti quali Mike Garson, Herbie Flowers, Mark Prichard e Luis Ramirez.
Le altre cover in scaletta non sono meno dinamitarde: da Seven Days di Annette Peacock a Highway Blues di Roy Harper, passando per Spirtis In The Night di Bruce Springsteen. Terminata la sua liason artistica (qualcuno vociferava anche sentimentale) con Bowie, la Cherry partirà per gli States, dove sul finire dei ’70 si unirà al grande cantante soul di Philadelphia Teddy Pendergrass. Per ora un’occasione irrinunciabile di riscoprire una madrina del più graffiante e groovy rock al femminile contemporaneo.

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