14/12/12

Girls Names, la wave made in Belfast





‘The New Life’ sarà pubblicato il 18 di febbraio su etichetta Tough Love (UK) e Slumberland (per gli stati Uniti). Il quartetto irlandese con base a Belfast, si muove in una posizione geografica  particolare rispetto a quella dei più celebrati colleghi d’oltremanica. C’è un’urgenza urbana nella loro musica, questo è il primo elemento indissolubile, e comunque una tendenza a rivedere in chiave più soulful i dettami della wave tutta.  I grigi scenari del paese natale, gli scampoli di naturale isolamento privato e lo schiacciante desiderio di liberarsi ed imporre la propria individualità, sono tutte conseguenze di un vissuto intenso, che si traduce puntualmente nella loro musica.

Dopo una serie di singoli ed EP per diverse etichette indipendenti, Girls Names debuttano sulla lunga distanza nel 2011 lasciando il segno con ‘Dead To Me’, raccogliendo consensi unanimi da pubblicazioni quali Pitchfork, NME e Loud & Quiet, tanto per citare le più importanti. Testati su uno dei palchi maggiori del Primavera festival di Barcellona, i brani di’The New Life’ sono immediatamente entrati in circolo, scuotendo le coscienze dei loro sostenitori, in crescita esponenziale.

L’essersi definitivamente allargati alla formazione a quattro, ha portato benefici su tutta la linea, incrementando le possibilità del loro suono, oggi davvero accattivante e ricco di molteplici sfumature. Quasi due anni nella preparazione, il disco non teme certo il confronto con una forma canzone mutevole, abile nel dribblare gli stessi diktat radiofonici. Sarà così possibile perdersi nelle maglie di una lunga ed ipnotica title track e nelle chitarre riverberate del singolo ‘Hypnotic Regression’, trascendendo l’idea stessa di indie-rock. E’ una nuova esistenza, a tutti gli effetti, ed il gruppo – pur partendo dal solco Factory/C-86 – mostra di avere un anima pop discretamente informata dalla musica nera.



13/12/12

Lo stile non è acqua: il ritorno di Adam Ant





Una delle più discusse ed ammirate icone del pop inglese- Adam Ant – ritorna in studio con il suo primo album in 17 anni. Un evento in sè, quasi una celebrazione per una delle figure più eccentriche a calcare i palchi del Regno Unito (e non solo)  all’indomani della rivoluzione post ‘77. Ad accompagnare l’album in uscita la terza settimana di Gennaio – per la fantomatica Blueback Hussar Records-  ci sarà anche un tour mondiale ed una pellicola cinematografica.  Dopo essere venuto a capo di un battaglia – peraltro ben documentata – contro la depressione ed il bipolarismo, la leggenda londinese torna a far sentire la sua voce con il kilometrico ‘Adam Ant is The Blueblack Hussar In Marrying The Gunner’s Daughter’, introdotto dal singolo ‘Cool Zombie’.

Il carattere spericolato dell’uomo è tutto in queste 17 (la scaramanzia non c’entra)  nuove composizioni, che pur attingendo al passato mostrano delle variazioni tematiche affatto trascurabili. E’ come se la penna di Adam fosse divenuta più discreta, riflettendo una personalità sempre in bilico. C’è spazio ad un elettronica casalinga, ad alcune sincere immersioni lo-fi e poi il gusto certificato per quelle inimitabili ed incalzanti ritmiche di marca post-punk.

Considerato alla stessa stregua di un tesoro nazionale, Adam è stato il leader e cantante del gruppo Adam and the Ants nei primi anni ’80, prima di imbarcarsi in una fortunata carriera solista che gli ha consentito di raggiungere più di una volta la vetta della top ten inglese. Tre numeri uno tra i suoi singoli ed un lasciapassare come figura simbolo di tutto il  movimento new romatic, una delle più sostanziali scosse estetiche apportate al calderone new wave. Non solo profeta in patria, il nostro uomo ha replicato i suoi successi anche oltreoceano, ottenendo risultati  di vendita  a dir poco entusiasmanti. Di nuovo tra noi per imprimere un’ulteriore accelerazione alla sua carriera.



Il soul bianco di Alice Russell





Torna una delle regine della soul music europea.  L’inglese Alice Russell pubblica a febbraio il nuovo album – il quinto per la precisione - ‘To Dust’  a coronamento di una carriera fin qui eccezionale. Assistita nuovamente in cabina di regia dal fido produttore TM Juke,  il disco (pubblicato dalla francese Differ-Ant, su licenza Tru Thoughts) oltre ai classici umori black introduce una vena eighties che sposta l’attenzione ancor di più sulla forma canzone, favorendo nuovi innesti in una visione pop davvero globale.


Completamente a suo agio di fronte alle più esigenti platee jazz (magari anche a capo di una corposa big band) o nell’intimità di un rock club, la Russell ha sempre evidenziato grandi capacità di adattamento, senza mai trascurare lo stile. Non a caso sono numerosi e prestigiosi i suoi sostenitori: Gilles Peterson, David Byrne, Dennis Coffey, Massive Attack’s Daddy G e Groove Armada. Il primo singolo ad esser estratto porta l’esplicito titolo di ‘Heartbreaker’, come se le questioni di cuore debbano necessariamente seguire le pulsazioni della musica dell’anima. Un binomio che del resto ha sempre accompagnato gli sviluppi di questa musica, ottima per preservare una certa intimità ma anche ideale per scendere sul dancefloor. ‘To Dust’ è disco più vellutato, romantico nell’accezione più ampia del termine, incentrato sulle relazioni interpersonali, irrimediabilmente realista. E’ un’Alice Russell molto coinvolta, forse all’apice del suo ruolo interpretativo.

Il singolo ora fuori è accompagnato da un video che è un pezzo di cinematografia pura, con un protagonista importante nella figura dell’attore di Hollywood Harry Shearer, noto per i suoi molteplici ruoli ma anche per essere una delle voci ufficiali dei Simpsons ed uno degli speaker più seguiti della stazione radiofonica di Los Angeles KCRW. Con ‘Heartbreaker’ si accede alla nuova dimensione musicale della Russell, sempre ammaliante.





12/12/12

Le praterie infinite di Night Beds





Dead Oceans è davvero emozionata nel presentare la musica dei Night Beds. L’ultima sensazione messa sotto contratto dall’indipendente americana è stata scoperta forse nel modo più banale per l’era digitale. Un semplice messaggio di posta elettronica con un brano in allegato, tanto è bastato a far scattare la scintilla e a portare avanti una trattativa che si è risolta nel minor tempo possibile. Il fascino di quella singola selezione non poteva trarre in inganno gli specialisti dell’etichetta, quell’incedere rassicurante con quei toni sognanti ponevano le basi per qualcosa di veramente intenso.

La voce dei Night Beds, Winston Yellen, arriva da Nashville via Colorado Springs. Il 23enne mostra di avere tutte le carte in regola per affrontare a testa alta il circo del rock, non temendo confronti con autori - già affermati - quali Mark Kozelek o semplicemente passati alla storia (vedasi alla voce Gram Parsons). Americana? Country soul? Di certo è musica dai grandi spazi, profondamente descrittiva.

Già nel primo singolo "Even If We Try", Yellen compie un passo deciso verso l’affermazione della propria arte, sfoggiando una performance vocale straordinaria. Non è un caso che questo brano sia stato registrato nello studio ricavato dall’abitazione della coppia country per antonomasia: Johnny Cash e June Carter. Hendersonville, TN, il luogo. Il 4 di febbraio i tempi sono maturi per il debutto sulla lunga distanza. 'Country Sleep', un disco concepito nell’arco di 10 mesi. Aldilà dello storico ‘appartamento’ le altre incisioni sono frutto del lavoro svolto presso il Brown Owl di Nashville. Musiche di origine controllata, squisitamente oscure, eppur docili. Il carisma di Yellen è tutto in queste melodie sospese.





Lady: omonimo debutto per due reginette r&b





Tutto quello che dovete fare è ascoltare le Lady una singola volta, non farete fatica a ricordare – nel caso ve ne foste dimenticati – perchè questa inebriante miscela fosse appunto battezzata ‘soul music’. L’onestà, la dolcezza dolente e la crudezza di queste cantanti vi riporteranno ad una delle stagioni migliori della musica afro-americana, spingendovi senza meno alla danza, ma toccando profondamente le corde della vostra anima. Le loro armonie si incrociano in maniera solenne, celebrando un momento creativo importante.  Lady è il nome con cui debutta su etichetta Truth & Soul la coppia al femminile composta da Nicole Wray e Terri Walker. Un suono che pur avvicinandosi ad una tradizione decana, vive di interpretazioni tese ed originali. Qualcosa che piacerà ai vostri genitori – ammesso e non concesso l’ascolto di Supremes e Temptations al jukebox di riferimento -  ma che scalderà anche i vostri ‘aridi’ cuori.

Nicole, che è di Atlanta e Terri, inglese, si incontrano a  New York City nel 2009 e presto realizzano che il loro amore comune per i classici del soul ed il più ricercato hip-hop contemporaneo avrebbero portato ad una nuova eccitante combinazione. Si affidano ai produttori di lusso Leon Michels e Jeff Silverman, le cui orchestrazioni lussureggianti hanno peraltro supportato le creazioni di gente come Adele, Raekwon, Ghostface Killah, Aloe Blacc e Lee Fields. Le premesse sono ottime.

Terri Walker ha già avuto numerosi album di successo nel Regno Unito (su etichetta Mercury7Def Soul), il suo debutto ebbe addirittura una nomination al Mercury Music Prize. Il singolo d’esordio di Nicole Wray - Make It Hot (etichetta East West) – conquistò a sua volta il disco d’oro e le comparsate al fianco di Missy Elliott, Cam’ron, Black Keys e Kid Cudi non hanno fatto altro che cementarne lo spessore. Le due signorine assieme fanno faville, c’è il sixties soul, scortato dai moderni accessori funk/r&b, ed una band alle loro spalle capace di fornire le giuste accelerazioni lavorando su un groove caldissimo. Preparatevi ad innamorarvi di nuovo.



Solange Knowles ci abbraccia con 'True'





I più curiosi frequentatori del circuito indie avranno già preso confidenza con il nome. Solange Knowles si è infatti già affacciata con discrezione negli album dei glamster-progressivi Of Montreal e degli untori electro Chromeo, raccontando una storia diversa rispetto a quella della più celebrata icona dell’r&b: la sorella Beyonce. Sulle ali del successo del recente singolo “Losing You”  (quasi 3 milioni di visualizzazioni su you tube), pubblicato dall’etichetta Terrible, la fascinosa vocalist – che ha anche avuto modo di sfilare alla scala della moda, Milano – torna sul luogo del delitto, scegliendo ancora la label indipendente gestita dal bassista dei Grizzly Bear, Chris Taylor.


‘True’ – che ci regala quasi 30 minuti di musica sensuale e gentile allo stesso tempo - esce a gennaio ed è sinceramente un tuffo al cuore, frutto della collaborazione con il produttore Devonté "Dev" Hynes, meglio noto come Lightspeed Champion.
L’incontro tra i due avviene nella primavera del  2010, e quella stessa chimica musicale si ricrea in occasione del nuovo mini, una delle cose più sensazionali che potesse nascere sulla tangente r&b/indie. E’ proprio la produzione a collocare la nostra a debita distanza dai luoghi comuni della black music più esplicitamente rivolta al mainstream. Ariel Rechtshaid (Usher, Major Lazer) e lo stesso boss dell’etichetta Chris Taylor hanno dato ulteriore sostanza a questa comunione artistica, adoperandosi adeguatamente in fase di mixaggio e post-produzione.


Il singolo ‘Losing You’ aveva già conquistato il prestigioso magazine Spin, che ne parlava come di una felice ed ariosa fusione tra R&B, pop adulto anni ’80 e beats di matrice  hip-house. Con l’Ep si va davvero oltre, l’impressione è che qualcosa di davvero importante stia accadendo non solo nel circospetto mondo dell’indie-dance, ma più propriamente nell’universo popular. Solange ha del resto tutte le qualità per calamitare l’attenzione su di sé, sfoggiando una grande naturalezza non solo quando passeggia con eleganza nella township – il video di ‘Losing You’ è stato girato a Cape Town – ma anche nel ruolo di sensazionale interprete canora. Una nuova stella è nata.





03/12/12

Nightlands, onde AM e delizie pop





Figlio di un ingegnere genetico, Dave Hartley ha sicuramente lasciato da parte l’eredità professionale del padre, pur incorporando le sue capacità analitiche e per certi versi l’amore per il lavoro in laboratorio. Nelle vesti di Nightlands, Hartley è uno scienziato del pop, che nel suo secondo lavoro sulla lunga distanza cerca di affrontare nuovi quesiti rimasti irrisolti. L’uomo e la malinconia delle macchine, sullo sfondo di un disco che segue le onde radio delle stazioni AM anni ’70, un vortice di ricordi ancestrali ed armonie soavi. ‘Oak Island’ – che esce per la solerte Secretly Canadian – è così uno di quei gioiellini magnetici che sanno davvero come riportare alla luce antichi quadretti familiari.

E’ una musica molto intimista, in cui gli intrecci acustico/elettrici lasciano sempre grande spazio ad una vocalità ispirata, riproducendo effetti cari alla tradizione West Coast. Al pari di questi melodiosi anfratti, c’è spazio anche per le surreali ambientazioni che furono di Brian Eno. Un quadro che risulta oltre modo completo nelle 10 tracce di questo disco. Dall’elegante
bossa-nova lunare di "So Far So Long" – che idealmente potrebbe candidarsi a singolo – agli squarci hypnagogici di Nico (che sia anche questo un omaggio voluto?), è tutto un gioire atmosferico, luminoso. Hartley è un prolifico turnista dell’area di Philadelphia, oltre ad essere il bassista ufficiale di The War on Drugs. Da solo non teme certo confronti con il gruppo maggiore.



Ghetto Brothers, riscoperto un classico latin-rock





C’è un termine che i collezionisti usano senza troppi peli sulla lingua: sacro Graal. Qualora si tratti di un disco non solo di difficile reperibilità, ma anche di toccare cifre astronomiche sui siti di aste on line. A volte questi dischi ammantati da un alone di mistero, mantengono la dimensione di oggetti mitologici non meglio identificati, altre volte l’opera di un buon samaritano provvede a renderle pubbliche, per il piacere ed il godimento di molti. Potremmo ancora ragionare sui contorni etici dell’operazione, sulla democratizzazione dell’oggetto musicale, ma quello che più conta ora è registrare questa lodevole operazione di recupero, resa possibile dallo sforzo di Truth And Soul.

‘Power-Fuerza’ dei Ghetto Brothers entra di diritto nel novero dei più ricercati dischi rare-groove, una sorta di latin-jazz con influenze urban soul ed un’attitudine rock vagamente lisergica. Un disco che nel 1972 fotografava la via di un combriccola di musicisti meticci che avevano scelto il South Bronx come base operativa. Perché in questo caso non parliamo soltanto di un’accolita di musicisti, bensì di una gang che cresciuta in strada si è progressivamente trasformata in una vera comunità di attivisti. Seguendo per certi versi quanto accadeva altrove con il Black Panther Party.

Quelle che ascolterete – forse – per la prima volta non sono autentiche canzoni di protesta, lo spirito del gruppo presentava delle suggestioni ben più articolate. Andando a sintetizzare questo è il prodotto di un gruppo di giovani portoricani residenti a New York, che in cuor proprio adoravano le melodie pop dei sixties ed in particolare dei Beatles. Parimenti a questa passione, le loro radici  certo non mentivano un’appartenenza allo stile  Nuyorican, ecco dunque i richiami al rock latino ed una forma più elaborate di blues. Anche un evento tragico ha accompagnato l’evoluzione di questo gruppo aperto, quando il catalizzatore della comunità e ‘consulente di pace’  Cornell “Black Benjy” Benjamin è stato assassinato in un acceso confronto tra gang. Sono esperienze che ritroviamo nella sfera di questa incredibile band, capace di raggiungere con un solo album lo stato di cult assoluto. Con un libretto di 80 pagine che accompagna la pubblicazione, Truth & Soul confeziona una delle migliori ristampe di genere, consegnandoci inalterato questo gioiello di prode resistenza urbana.



29/11/12

Cosmic-house? Memory Tapes!





Con sei tracce che superano la soglia dei 39 minuti, ‘Grace/Confusion’ è di per sè un cambio radicale nelle strategie di Memory Tapes, consentendo al leader Hawk di abbandonare gli ammiccamenti dance per affrontare distanze ben più lunghe, fatte di intensi fraseggi strumentali. Tutto ciò per incrementare un’idea di spazialità ed allargare d’ufficio i propri orizzonti. L’inventiva è al servizio delle nuove canzoni, messa da parte ogni aderenza stilistica Hawk si trova a gestire una confusione strutturale, che sposta notevolmente il suo raggio d’azione. Dalla malinconica storia d’amore di ‘Sheila’ – raccontata attraverso scie di sintetizzatori oscuri e chitarre distorte – alla drammatica coda di ’Neighborhood Watch’, è tutto un saliscendi emotivo che difficilmente lascerà impassibili. Il pop si confonde tra le maglie di un beat electro, assume contorni cosmici e più in generale si abbandona a forme sperimentali che esaltano il gusto del principale autore.

L’essenza della musica di Dayve Hawk è proprio da ricercarsi nel desiderio di espansione, nel trasportare la musica da ballo in territori limitrofi e non sempre accomodanti. E’ come se il ritmo si spostasse radicalmente su un’altra dimensione, aprendosi ad inedite commistioni. E’ un’ arte, un feeling mai sopito per Memory Tapes. Grace/Confusion è la terza fatica sulla lunga distanza, sin dal titolo si nota quel contrasto tra gentilezza e radicale apertura mentale, che è un po’ la simbologia del suo nuovo credo musicale. Dalla disco al kraut rock sono molteplici le influenze che risiedono alla base di questo lavoro, scintillante, imprendibile, perfetto nel suo disordine organizzato. Memory Tapes è il vostro intrattenimento supremo, oggi.



Il duo del momento: Foxygen!





Nel maggio 2011 Sam France e Jonathan Rado dei Foxygen hanno donato, non senza un certo timore, una copia del loro cd-r casalingo ‘Take the Kids Off Broadway’ al produttore Richard Swift, dopo un’apparizione in un club della Lower East Side di New York. Il duo era ovviamente affascinato dall’arte di Swift e dal suo approccio assolutamente trasversale alla materia pop. Una volta abbandonato il locale, i dubbi sulla possibilità che il loro piccolo/grande idolo potesse  ascoltare quelle demo crebbero. Se state leggendo questa compita introduzione, potete immaginare voi stessi come siano andate a finire le cose.

A dire il vero non parliamo di un’operazione di routine, perché Swift perse letteralmente la testa per quelle ruvide composizioni, rapito dall’esotismo rock’n’roll del duo. Recatisi all’ormai leggendario National Freedom studio, i Foxygen affilano le armi per dar vita al loro esordio ufficiale, oggi disponibile grazie a Jagjaguwar. ‘We Are the 21st Century Ambassadors of Peace & Magic’ – titolo per nulla altisonante vero? – è un disco pazzesco, portando in dote anche le esperienze di figure quanto meno carismatiche nella storia della musica popolare americana e non. Lou Reed/John Cale, Mick Jagger/Keith Richards, David Bowie/Mick Ronson, avrete capito l'antifona...

I Foxygem rischiano di essere uno dei crack di questo 2012, il loro è un pop incendiario, che non rinuncia nè a frasi easy listening nè a combinate lisergiche, guardano con rispetto tanto al rock’n’roll dei fifties quanto all’hip-hop. Una di quelle intuizioni perfette, se tradotta in maniera adeguata su microsolco,. Ed in questo lo zampino di Richard Swift si sente tutto. Pare infatti di essere alla mercè di autentici veterani . Qui c’è tanta sostanza e state pur certi che la classe di questi due giovanissimi (22 anni a testa) difficilmente sarà presa sotto gamba.





Toro Y Moi, romanticismo tascabile.





Il prodotto di un trasferimento dalla South Carolina a Berkeley, California e la susseguente separazione dai più intimi affetti, il nuovo album di Toro Y Moi – il suo terzo – porta il titolo di ’Anything in Return’.  Con questa nuova fatica da studio, ancora realizzata grazie all’interessamento del marchio Carpark,  Chaz Bundick non smentisce certo il suo doppio ruolo di produttore/compositore, consentendo però all’artista di muoversi in maniera placida nella doppia dimensione. Il suo gusto pop ne esce rinvigorito. Parallelamente all’uso di melodie epidermiche, utilizzate per convogliare i pezzi sui giusti binari, continuano ad affacciarsi gli sguardi d’intesa sull’ universo dell’indie-dance  e dell’hip-hop.

Brani come ‘High Living’ e ‘Day One’ tradiscono una considerevole influenza californiana, tra languido funk ed un temperamento tipicamente West Coast. La new wave, quella più morbida benintesi, quasi ai margini del movimento new-romantic, sembra prendere il sopravvento nel singolo ‘So Many Details’. L’essenza di Bundick è tutta in questo disco che riferendosi al magico numero 3, porta in dote un curriculum di quelli invidiabili.

Una visione al servizio della composizione perfetta, un ponte tra presente e passato, un jukebox amico cui confidare i propri desideri reconditi. Toro Y Moi è così l’alchimista del nostro tempo, capace di assemblare un puzzle convincente, dove ogni stridore è lasciato alla porta. Una modernità che odora fortemente di classicità.





27/11/12

Quigoh - Le Tue Parole





I Quigoh nascono ad Arezzo nel 2007 da un'idea di Roberto Sarno che torna a vivere la musica in prima persona, spinto dalla "necessità di scrivere cose mie e dall’emozione che si prova quando il suono vibra in mezzo alla gente".
Roberto militava come chitarrista nel 1985 nei Dive, formazione wave toscana che con la Label Service ha inciso e pubblicato su vinile l’ Ep ‘Immersi’ (1987). Dopo un periodo di concerti in giro per l’Italia, ottimi articoli su riviste di settore e un secondo ep inciso, ma mai pubblicato per il fallimento dell’etichetta discografica, la band si sciolse. Le esperienze successive portano il nostro a maturare l’idea di accantonare la musica vissuta in prima persona. Negli anni a seguire la concentrazione verte più sull’ascolto, piuttosto che sulla creazione in prima persona. Roberto segue in maniera incessante anche le iniziative live, ma è ancora lontano dall’imbracciare uno strumento.

Grazie anche all’intesa coi nuovi collaboratori Marco Amatucci, Massimiliano Conticini e Marco Mafucci, decide di intraprendere un nuovo percorso, con l'obiettivo di suonare lasciandosi portare solo dalla passione.
Esce così nella’autunno 2012 per Goodfellas ‘Le Tue Parole’, un disco che racchiude varie sfaccettature di una singola storia e racconta "come io l'ho vista vivere". Le influenze musicali, principalmente esterofile, nel disco di debutto ‘Give It A Try’ del 2009 hanno portato a cantare canzoni scritte in lingua inglese. Tuttavia nello sviluppo del percorso e nell’ideazione del nuovo lavoro discografico la lingua italiana ha preso il sopravvento in maniera determinante. La musica dei Quigoh sposa oggi la gentilezza della canzone d’autore, lasciandosi però trasportare da sussulti elettrici, che certo non mentono sulle radici post-punk dei suoi autori.



L'eterno David Thomas e i Pere Ubu





Tornano con quello che forse è il loro disco più sperimentale da decenni a questa parte i Pere Ubu, identificabili ormai nelle storica presenza di David Thomas, deus ex-machina che a dire il vero ha perso per strada la sua stazza. Fisicamente ‘ridimensionata’ la figura cardine dell’ensemble tiene le fila del rinnovato gruppo,  che a 3 anni dall’ultima fatica torna a riaffacciarsi in studio.
In concomitanza con il 35ennale del loro debutto – quel seminale ‘The Modern Dance’ – il gruppo si accasa presso Fire Records, che già aveva riportato in vita la sigla Rocket From The Tombs. ‘Lady From Shanghai’ inaugura così l’ennesima nuova era nella storia del gruppo americano, che proprio non vuole saperne di tirare i remi in barca, puntando anzi ad una disquisizione realmente sperimentale. Un album di musica dance a detta degli autori: il passaggio segreto per accedere all’ Ubu Dance Party.
"Il danzatore è la marionette nella danza - dice David Thomas – è passato così tanto tempo da questo abominio che questa regola doveva conoscere la parola fine. Lady From Shanghai ha risolto il problema”.

"Volete sapere qual’è il problema? La danza in realtà incoraggia il corpo a muoversi senza permesso". Un libro verrà pubblicato in concomitanza con il disco: 'Chinese Whispers: The Making of Lady From Shanghai'. Sarà un modo di esplorare in maniera esaustiva la lavorazione stessa del disco. Vedere il gruppo muoversi con grande libertà tra le maglie di un avant-rock davvero complesso non può che risvegliare alcuni istinti sopiti. Siamo del resto di fronte ad uno degli innovatori più credibili di tutta la stagione post-punk americana. Formatisi nel 1975 a Cleveland, i Pere Ubu hanno rappresentato un modello inarrivabile per molti. Vero e proprio trait d’union tra art-rock, proto-punk ed attitudine progressiva, hanno cambiato letteralmente volto un numero infinito di volte, rispettando in tutto ciò solo la volontà del loro leader.
Le loro creazioni hanno stuzzicato una miriade di musicisti eletti, una lista di quelle kilometriche, da cui possiamo sommariamente estrapolar ei nomi di: Joy Division, Pixies, Husker Du, Henry Rollins, REM,  Thomas Dolby, Bauhaus, Julian Cope, etc. Per dire della trasversalità del gruppo ricordiamo come David Thomas si sia ispirato nel nome al protagonista della piece teatrale Ubu Roi, firmata dal francese Alfred Jarry. Per dir invece di come i suoi rapporti con stampa e musicisti siano sempre stati abbastanza difficili, vi basti scorgere i titoli del nuovo album, con una  ‘Musicians Are Scum’ che lascia davvero pochi dubbi sullo spirito del suo autore. Ah, non meravigliatevi di ascoltare una sgangherata rivisitazione del classico disco ‘Ring My Bell’ in ‘Thanks’, perché nel concept dance dei Pere Ubu ci sta davvero tutta.

"Yet by 1978 they had achieved what no other group would even attempt, before or since, they had become the world's only expressionist Rock'n'Roll band, harnessing a range of rock and musique concrete elements together in a sound which drew its power from, and worked on, levels of consciousness previously untouched by popular music. The music Ubu made in 1978 was heart and soul, body and mind, in one." Andy Gill - NME

"Ubu are generally regarded as the missing link between the Velvets and punk. From the beginning they obviously understood the nuts and bolts of popular music, and then loosened them." Joe Cushley - Mojo

"They're the greatest out-rock 'n' roll group of this millennium, and probably the next."
Edwin Pouncey - The Wire



La wild America di Wooden Wand





Dopo tanto peregrinare – artisticamente parlando e non solo – Wooden Wand sembra aver trovato la lucidità necessaria per completare un disco dai tratti definitivi. Un lavoro che a distanza di tempo potremmo immortalare in una bacheca o in una preziosa cornice, quasi a ribadirne l’importanza storica. A far da successore a ‘Briarwood’ – l’album che ha consolidato il suo rapporto con Fire Records – ‘Blood Oaths Of The New Blues’  è una delle produzioni più rigogliose scaturite dalla penna del tenutario della sigla, James Jackson Toth. Il nostro, che sotto diversi nomi ha inciso per Young God, 5 Rue Christine ed Ecstatic! Peace (giusto per rimanere in superficie), torna a registrare in Alabama, rispettando in pieno la sua ispirazione rurale. Che a livello lirico rifugge però la solarità tipica di tante produzioni ascritte al genere’ americana’. C’è una visione sicuramente più funerea del mondo, che in questo avvicina James Toth all’antica vocazione per l’hardcore più urlato e politicizzato, il folk apocalittico e certo drone-doom.

Qualche vecchia conoscenza azzardò l’affondo all’epoca dei Vanishing Voice: questo gruppo potrebbe far perdere la testa a David Tibet dei Current 93. Ora guarda caso Wooden Wand inventa un tributo fantastico alla compianta voce dei Coil. Johnn Balance è uno degli otto brani in scaletta, un atto d’amore, una celebrazione. Molti dei musicisti che hanno sfilato in ‘Briarwood’ ritornano, dando una continuità inaspettata al progetto. Registrato presso l’ Ol Elegante di Homewood, AL – come il suo predecessore – il disco mette in fila collaboratori ormai navigati come David Hickox, Janet Elizabeth Simpson, Jody Nelson, Brad Davis ed il produttore Les Nuby III.

I cugini spirituali di questo disco possono essere rintracciati in capolavori come ‘Desertshore’  di Nico, ‘A Black Box’  di Peter Hammill o nel debutto omonimo di Dino Valente. Gli arrangiamenti sono curatissimi, potendo contare su dettagli sonici per nulla secondari. L’uso dell’organo, dell’harmonium e  della pedal steel creano un tappeto unico su cui la voce di Toth si adagia, regalando narrazioni a volte meste, ma pur sempre credibili. In ‘Dungeon Of Irons’ si ricorda la giustizia sommaria del vecchio e selvaggio West, quando donne ed uomini venivano sacrificati sulla pubblica piazza, mentre il clima viene stemperato in ‘No Debts’, forse l’unico episodio che si possa ascrivere alla categoria ‘canzone d’ amore’. Uno dei lavori più compiuti di questo camaleontico artista, che pochi ricorderanno essere nipote eletto di un’icona del più selvaggio ed ombroso rock newyorkese: Pete Steele, leader dei discussi Carnivore e Type O’ Negative.



26/11/12

Il nuovo Tomahawk per Ipecac!





I Tomahawk sono tornati! Dove sono stati e soprattutto cosa stavano facendo? Possiamo considerarla una reunion e cosa dovremmo aspettarci in futuro? Così tante domande che è necessario fare dei chiarimenti. La lunga pausa di riflessione è da considerarsi come un atto liberatorio, i quattro – rivolgendosi agli astri – non hanno fatto altro che scoprire le numerose verità riposte nell’universo. Uno sguardo ad orizzonti infiniti, per porre rimedio a quella smania esistenziale che alimenta anche i più coraggiosi progetti creativi.

In questa ispirata ricerca dell’essere, dove la dimensione artistica non è stata certo trascurata, i quattro trovano il tempo per lavorare a nuove composizioni, che saranno alle fondamenta di “Oddfellows”, nuovo album in rampa di lancio per Ipecac nel gennaio 2013. E per sgombrare il campo da possibili equivoci, ci teniamo a ribadire che questa non è una reunion, in quanto il gruppo in cuor suo non ha mai smesso di propagandare il suo messaggio. E poi, detto tra noi, una reunion avrebbe fatto lievitare sensibilmente i loro cachet.

Ci troviamo di nuovo a riflettere sull’assoluto in ambito alternative rock, anche se la terminologia – va da sé – non cattura il senso  dell’operazione e soprattutto la statura dei musicisti coinvolti. Duane Denison (the Jesus Lizard, Unsemble, etc), Mike Patton (Faith No More, Fantômas, etc), John Stanier (Helmet, Battles, etc) ed il nuovo affiliato Trevor Dunn ( Mr. Bungle, Fantômas, etc) sono forse la all-star band per eccellenza. Il loro debutto omonimo risale al 2001, mentre il successivo “Mit Gas” è del 2003. Con “Anonymous” del 2007 la faccenda era stata definitivamente messa in chiaro, stabilendo regole e gerarchie all’interno di una scena mai così spezzettata. Con l’avvento del nuovo anno i Tomahawk sono pronti a recuperare il mal tolto, tornando a  proiettare la loro pesantissima ombra sulle musiche che verranno, pur che si tratti di rock estremo.

Il disco - per rispondere ai migliori criteri di alta fedeltà nel rock – è stato inciso dall’ormai miliardario Dan Auerbach (Black Keys) presso gli Easy Eye studios di Nashville con l’intervento combinato dell’ingegnere del suono Collin Dupuis. Ad anticipare la portata principale ci penserà un singolo -  “Stone Letter” – ad inizio dicembre, con un prezioso lato b intarsiato dal rinomato fumettista Ivan Brunetti, lo stesso responsabile dell’artwork dell’album. Per la prima volta dal 2003 il gruppo è entrato anche nell’ottica di suonare dal vivo, circostanza che li porterà a calcare i principali palchi internazionali. Che il ballo rituale abbi inizio. 





23/11/12

Nosaj Thing: mutant hip hop da L.A.





Sono passati più di 3 anni dalla pubblicazione dell’acclamato album di debutto di Nosaj Thing (al secolo Jason Chung), quel Drift (Alpha Pup) che ha raccolto consensi tra gli appassionati del broken beat e più in generale dell’elettronica propensa a contaminazioni con la musica indie. Anche nei consuntivi di quell’anno solare il disco non mancò di scalare posizioni importanti. Nel 2013 tutti i riflettori saranno puntati sul 27enne musicista, produttore e dj con base a Los Angeles. Gli indizi non tradiscono. L’ album in uscita a gennaio - Home - segna anche la collaborazione con un nuovo marchio (Timetable), che vanterà la manifattura e distribuzione di Innovative Leisure, lanciatissima etichetta indipendente californiana che abbiamo apprezzato per i freschissimi lavori di Nick Waterhouse e Allah-Las.

Con Home le aperture stilistiche sono sensibili, per la prima volta le voci sono inserite nel contesto strutturale, seguendo un percorso naturale che ha visto Nosaj Thing operare anche in circuiti lontani dall’elettronica. Dopo aver remixato brani di The XX, Flying Lotus, Charlotte Gainsbourg, Beck & Kendrick Lamar e addirittura Philip Glass (nel disco pubblicato da Orange Mountain)  il passo successivo è stato evidentemente quello di chiamare a sè nuovi collaboratori. Ed i nomi non potevano che essere altisonanti: Toro y Moi e Kazu Makino (Blonde Redhead) regalano due prestazioni vocali certamente eteree in due tracce del disco. Il resto dell’album continua sulla falsa riga dell’esordio, illustrando le capacità descrittive di questo suono, che pur vertendo su elementi formativi quali downtempo, IDM ed hip-hop, mai rinuncia ad una sua visione cinematica. Lo spazio è ancora una volta la dimensione da testare dunque.

Siamo certi che i sostenitori di Flying Lotus, Boards Of Canada, Stereolab e DJ Shadow troveranno pane per i loro denti.




Il gusto neo-classico di Poppy Ackroyd





Poppy Ackroyd
è una compositrice londinese di base ad Edinburgo. La preparazione classica le ha permesso di emergere tanto nel ruolo di arrangiatrice quanto in quello di musicista eclettica, potendo spaziare agevolmente tra violino e pianoforte. Il suo album di debutto 'Escapement' rispetta in questo senso la sua vocazione, legando a questi due strumenti il processo di scrittura. Ogni suono, con l’eccezione di alcuni field recordings, è creato utilizzando esclusivamente le corde di piano e violino. Le sette tracce sono una combinazione di melodie pianistiche ed accordi progressivi, utilizzando un approccio convenzionale od altrimenti rispettando alcune ‘tecniche estese’ come il ricorso spesso sistematico alle corde interne dello stesso strumento. Anche il violino è messo a pieno servizio delle composizioni, le corde sono pizzicate, sfregate o  addirittura percosse con bacchette per batteria, proprio per esaltare un’oscura vena ritmica.

Un processo questo che ha spinto Poppy in pratica ad autoprodursi. Considerati i tempi di assimilazione e tutte le varianti tematiche, un ingegnere del suono avrebbe speso troppo tempo nell’entrare in sintonia con l’artista. Ecco perché la nostra, pur di ottimizzare il processo di produzione, è ricorsa ad un laptop e ad un registratore digitale pur di immortalare progressivamente le sue mosse. Una scelta che si è dimostrata felice, rivelando grandi momenti di continuità in un disco che sfiora l’idea stessa di opera concettuale.

La masterizzazione di queste favolose miniature è stata poi completata dall’esperto Nils Frahm (Erased Tapes), presso lo studio berlinese Durton. Negli ultimi anni Poppy è stata anche impegnata con la Hidden Orchestra (Tru Thoughts Records, Denovali Records), componendo ed esibendosi in numerose sonorizzazione per balletti teatrali e film d’avanguardia. Un disco che raccoglierà molti riscontri tra gli amanti della musica cameristica, del pop d’autore e di certo post-rock.



21/11/12

Avenue X, il rock'n'roll risorge a New York





Gli Avenue X nascono a New York nell’ottobre 2011 dall’incontro di due personaggi alquanto singolari: la newyorchese Dionna Lennon, diciottenne attrice/musicista e il noto paracadutista acrobatico Marzio Dal Monte, conosciuto come "skypunker" . Dionna Lennon, Dal Monte dopo esser convolata a giuste nozze, e’ figura nota nel mainstream statunitense per aver partecipato a numerosi film e serie televisive, tra cui vale la pena citare ‘The Sopranos’ e ‘Summer Of Sam’. Figlia d’arte (il padre Victor Colicchio e’ famoso attore e sceneggiatore americano, noto per aver scritto lo stesso ‘Summer Of Sam’ di Spike Lee e per aver partecipato a numerosi film, tra cui ‘Goodfellas’, ‘Inside Man’, ‘Mr. ‘Crocodile Dundee’, etc).

La coppia - conosciutasi nel Village di New York - cattura presto l’attenzione del batterista dei Ramones, Marky Ramone, che si offre di suonare la batteria nel loro mini cd d’esordio. Nel mese di agosto del 2012 la band incide il proprio debutto lungo – pre-prodotto a Manhattan - presso i Massive Arts Studios di Milano con il tecnico del suono Jack Garufi (Mars Volta, Helemet, Skunk Anansie, Tre Allegri Ragazzi Morti, Fratelli Calafuria, D’Argen Damico). Sono 12 le tracce originali che spaziano dal grunge di ‘Tonight’ al blues di ‘Come Home’, ‘Crazy’, ‘I’m Sorry’, fino alle più decise stilettate punk di ‘You Gotta Go’ e allo psychobilly di ‘4:20 24/7’. Di particolare interesse il duetto con Steve Sylvester (lo storico leader dei Death SS) nel brano ‘Can’t Get Me’. L’altro ospite di spicco è Lucky Luciano, voce del gruppo rockabilly Goodfellas. E il fatto stesso che un veterano della Big Apple sotterranea come Davi Peel – esatto, proprio lui, lo scalcinato folk singer proto-punk di ‘Have A Marijuana’ – sia prossimo a collaborare con questi ragazzi deve rappresentare più di una curiosità. Un debutto lungo infine variegato, che lancia la giovane e talentuosa chanteuse newyorkese nell’olimpo delle stelle alternative-rock, solleticando più di un paragone con Courtney Love.

Les Paul: “un talento innato unito ad una tecnica esemplare, nel corpo di una ragazzina di 15 anni”

Brad Roberts (Crash Test Dummies): “avrà un futuro grandioso. Una voce stupenda, un piacere suonare con lei”

Spike Lee: “non fatevi ingannare dal suo sorriso dolce e dai suoi occhioni e capelli biondi: quella ragazza e’ nata e cresciuta per dominare il mondo”

Marky Ramone: “i suoi brani sono grandiosi, e saranno ricordati per i decenni a venire”

David Peel: "da quando hai suonato in città, New York city non e' più la stessa"

Mira Sorvino: "un autentico talento. un'artista a tutto tondo, assolutamente unica".


Dopo essersi esibita al Jamboree festival quest'estate ecco le nuove date dal vivo di Dionna e soci

8 dicembre Catania, Il Faro
14 dicembre Bbologna, Arteria
23 dicembre Padova, Zero club (Dionna versione acustica)
25 dicembre Ravenna, Almaja (Dionna canta con il gruppo The Goodfellas)
29 dicembre Misano, Boulevard Rock Club
31 dicembre Senigallia, Rotonda Al Mare
5 gennaio Massa, Swamp club
11 gennaio Osimo, Funhouse club
12 gennaio Audiodrome, Torino



14/11/12

A marzo il nuovo album dei Matmos





“The Marriage of True Minds” è il primo album della coppia californiana da cinque anni a questa parte. Un nome che sin dagli esordi e dalle autoproduzioni griffate Vague Terrain (il loro marchio personale ed il loro website ufficiale) ha invertito gli angoli cardinali della cosiddetta cultura elettronica. Per Drew Daniel e Martin Schmidt gli esami non finiscono mai, e questo nuovo banco di prova è forse la vetta di un concept strutturale.

Perché se l’elettronica – con i suoi più disparati retaggi: dall’industrial alla musica da ballo – rimane il terreno su cui far germogliare le proprie idee, è tutto il resto a mostrasi avvincente. Perché nel suono speziato e senza compromessi dei Matmos oggi trovano spazio addirittura ritmi latini e  rimandi alla favolosa serie Ethiopiques, scampoli doom metal e le solite accorate parate minimaliste o affini alla musica concreta. Mettendo in lista i temibili guastatori sonici Nautical Almanac (tra i pionieri del nuovo noise americano ben prima dei celebrati Wolf Eyes) ed i ‘cameristici’ Arditti Quartet vuol dire avere fegato, o quanto meno una visione multipla.

Lo studio della parapsicologia è stato di ispirazione per Drew Daniel, che con il suo compagno in passato ha spesso ceduto al fascino della medicina più borderline, anche nell’approntare l’Ep apripista The Ganzfeld. Si parte con  una cover di “You”, originariamente composta da Leslie Weiner e Holger Hiller (della leggendaria formazione post-punk teutonica Palais Schaumberg), per creare un climax ideale. I contributi sono molteplici: Dan Deacon, Dominque Leone, Jenn Wasner (Wye Oak, Flock of Dimes), Carly Ptak (Nautical Almanac), Keith Fullerton Whitman, Jay Lesser, Angel Deradoorian dei Dirty Projects e la mitologica Clodagh Simonds (oggi a capo del progetto Fovea Hex ed un tempo usignolo nel gruppo folk inglese Mellow Candle),  Jason Willett (Half Japanese), Ed Schrader (Ed Schrader’s Music Beat). Partecipanti ingombranti e non che ricevono un trattamento di editing drastico, nelle ricostruzioni digitali del duo.

Il disco si chiude con un’altra cover, quasi a chiudere un cerchio. Si tratta di una rivoluzionata “E.S.P” dei Buzzcocks, una pratica cui del resto Drew ci aveva abituati con il progetto collaterale Soft Pink Truth (in cui rivedeva i Crass come i minor Threat ed Angry Samoans). Canta Gerry Mak del gruppo doom metal sperimentale di Brooklyn Bloody Panda, i riff macilenti sono invece del gruppo di Baltimora Pleasure Wizard. Nel mezzo tutte le sfumature di una contaminazione totale.

Le date italiane

14/03/13    Torino (IT), Musica 90 @ Molodiciotto
15/03/13    Verona (IT), Interzona
16/03/13    Bologna (IT), Locomotiv