25/06/12

Il ritorno del culto Bill Fay




Bill Fay è uno dei segreti musicali inglesi meglio conservati, un tesoro nazionale di quelli genuini; agli albori degli anni ’70 la sua voce, accompagnata da alcune distillate note di piano, lo aveva posto sull’identico piedistallo del giovane Bowie, di un John Lennon e di un Ray Davies. Due soli album in cui la naturale vena folk si apriva a numerose contaminazioni. Il debutto omonimo del 1970 licenziato da Decca Nova era arrangiato da Mike Gibbs, che in dote portava il suo gusto per il jazz e le big band. Ma è con il successivo Time Of The Last Persecution (1971) che il nostro si afferma grazie anche ad una vena chiaroscurale che in futuro avrà una certa rilevanza per gli eroi del cosiddetto folk apocalittico. Spalleggiato da alcuni dei migliori sessionmen londinesi ed in particolare da uno dei più eclettici chitarristi jazz-rock del tempo – Ray Russell – Bill Fay conosce uno dei suoi più alti momenti artistici. Incapace di entrare in maniera definita nei meccanismi dell’industria musicale, Fay vive ai margini della stessa continuando a scrivere brani unicamente per il proprio piacere. I suoi album vengono ripubblicati solo nel 1998  dopo esser stati fuori catalogo per 27 anni. Dopo le parole spese da Jeff Tweedy dei Wilco e David Tibet dei Current 93, il personaggio pubblico torna clamorosamente a suscitare interesse. Spunta un terzo album, inciso sul finire degli anni ’70, e l’ombra del Bill Fay Group con Tomorrow Tomorrow And Tomorrow (pubblicato per la prima volta solo nel 2005) si materializza in maniera del tutto inaspettata. Sollecitato dallo stesso gruppo Bil Fay appare poi on stage a Londra coi Wilco nel 2007.

Da quel momento in poi i riflettori tornano ad accendersi su questa personalità riservata dell’underground britannico. Il produttore americano Joshua Henry - introdotto alla musica di Fay da suo padre, collezionista di tutto rispetto – recupera alcuni demo casalinghi di Bill e decide che il momento è propizio per riportare il musicista in studio. Life Is People (Dead Oceans) è in pratica il suo primo lavoro concepito in sala d’incisione dal lontano 1971. Il chitarrista Matt Deighton (Oasis, Paul Weller, Mother Earth) si preoccupa di allestire un cast di musicisti importante per accompagnare il nostro. Il batterista Tim Weller (Noel Galalgher, Goldfrapp) ed il tastierista (Mikey Rowe (High Flying Birds, Stevie Nicks) vengono reclutati per l’occasione, assieme ai due cavalli di ritorno Ray Russell ed al batterista Alan Rushton.

Un disco incredibile, salutato già dagli addetti ai lavori come il suo capolavoro. Una sensibilità ritrovata, grazie ad orchestrazioni mai invasive che mettono la sua voce ed il suo pianoforte al centro dell’attenzione, rispettando quella che è la natura intimista della sua penna. Uno dei cantori d’oltremanica più originali è di nuovo tra noi, perdere quest’ennesimo treno sarebbe delittuoso.

‘Non riesco a pensare ad altri artisti i cui dischi abbiano rappresentato così tanto nella mia vita’ (Jeff Tweedy, Wilco)

‘Ogni disco pubblicato da Bill Fay in quattro decadi è differente, ed ognuno di questi è indispensabile’ (Will Sheff, Okkervil River)

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