30/09/13

I fiordi nella poetica di Arve Henriksen





Con ‘Places Of Worship’ Arve Henriksen compie un definitivo balzo in avanti, assicurandosi un posto di tutto rispetto nella categoria dei pesi massimi dei musicisti contemporanei. La continuità con cui ha sostenuto le sue iniziative soliste – spesso foraggiate dallo storico e prestigioso marchio ECM -  ed il lavoro in gruppo con i Supersilent, ne hanno fatto un musicista incredibile nel circuito dell’avanguardia internazionale. Il trombettista norvegese continua ad abbracciare con questo lavoro una filosofia tipicamente nordica, una scrittura ed un approccio che non prescindono dalla territorialità, dando grande respiro e credibilità alla sua ricerca. Henriksen si muove con passo felpato tra gli affascinanti scenari domestici mai rinunciando all’idea di modernità che informa comunque la società del 21simo secolo. Fotografie di quartieri immobili, case abbandonate che con la loro sacralità rappresentano una contraddizione in termini allo sfrenato sviluppo tecnologico. Un confronto che nella musica del trombettista è vitale, dando corpo ad una mutazione elettronica che mai prescinde dall’aspetto umano.

E’ come se le ombre di questi luoghi si riflettessero all’interno del disco, trasferendo la geografia in note. Un viaggiatore Harve, che mette la sua esperienza al servizio della musica. Le immagini dei porti nord-africani in ‘Alhambra’ ed il soffio del vento di scirocco gallico in ‘Le Cimitière Marin’, non sono cartoline posticce, bensì riflessioni a tutto tondo di un artista animato da stimoli epidermici. Con la presenza di un virtuoso delle tecniche estese come Jan Bang – altro musicista norvegese dal curriculum invidiabile con collaborazioni di lusso con David Sylvian, Nils Petter Molvær e Bugge Wesseltoft  - ‘Places Of Worship’ è un disco compiuto ed inarrivabile allo stesso tempo. Una classicità che si bagna nel moderno, portando ai massimi vertici la ricerca stilistica di Henriksen, un musicista che si insinua nel solco del Miles Davis di ‘Aura’ e della Fourth World exotica di Jon Hassell. Jazz futuribile dall’impianto storico in altre parole.


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