03/09/13

Terzo album per Land Of Kush



Facendo seguito ad una serie di visite interessate nel corso degli anni, Osama (Sam) Shalabi si è stabilito al  Cairo nel 2011, arrivando giusto ad un isolato dalla celebre piazza Tahrir, uno dei luoghi simbolo della cosiddetta primavera araba. Shalabi descrive ‘The Big Mango’ come un nuovo e fenomenale lavoro concepito con la big band dei Land Of Kush, una lettera d’amore alla capitale egiziana, informata dalla surreale follia che serpeggia nelle strade, una gioiosa ed orribile serie di eventi che avrebbe portato ad un radicale cambio nel corso della storia. Le musiche sono state profondamente ispirate dal periodo trascorso a Dakar – un break deciso rispetto all’intensità del Cairo – dove Sam ha potuto tracciare un interessante parallelo tra le sonorità senegalesi e quelle di una tradizione altrettanto politicizzata come la Tropicalia brasiliana. Il senso di una positività, complessità e radicalità nell’arte, elementi che hanno consentito ai Land Of Kush di plasmare nuovi formati, proprio sulle ali di una rivoluzione estetica, spinta dai reecnti accadimenti internazionali.


Anche la rinnovata figura della donna nella sempre più aperta società senegalese, ha consentito a Sam e compagnia di valutare nuove possibilità ed intersezioni, contrariamente alle promesse non sempre mantenute del nuovo corso politico egiziano. The Big Mango è uno dei tanti nomi con cui viene indicato il Cairo, anche se allo stesso tempo l’immagine può evocare la dolcezza dell’omonimo frutto, una sorta di simbolo nell’emisfero sud del mondo.

Montréal rimane ancora uno snodo cruciale per Shalabi, che fa ritorno alla casa madre ripetutamente, per porre poi sul finire del 2012 gli ultimi tocchi all’ambizioso terzo disco, ricongiungendosi ai numerosi ‘orchestrali’. Dopo una serie di esibizioni dal vivo preparatorie, i musicisti si danno appuntamento al rinomato Hotel2Tango per un paio di sessioni da cui andrà a scaturire proprio ‘The Big Mango’. L’attacco del disco rispetta in pieno le consuetudini della band, tra libera improvvisazione, un uso dosato dell’elettronica e muti vocalizzi. Una obliqua sessualità/sensualità che si cementa nella coppia  ‘Faint Praise’ e ‘Second Skin’. Da qui ci si immedesima nel respiro ‘world’ di Shalabi, che dona sempre un tocco   lisergico alle sue orchestrazioni. La figura femminile è al centro di diverse composizioni, uno struggimento epocale che ha portato l’orchestra a sviluppare una sensibilità nuova. Le singole performance vocali con relative testi autografi sono di Ariel Engle, Katie Moore, Elizabeth Anka Vajagic e Molly Sweeney rispettivamente. Scelte melodiche che portano una ventata di fresco nelle strutture post-psichedeliche del combo. Nella rincorsa ad un immaginario etno-rock i Land Of Kush sono – oggi – clamorosamente in vantaggio.




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